Il bambino e la tavola.
Un compito “evolutivo” per i figli e uno “educativo per i genitori.

Premessa

Mangiare è una delle prime forme di piacere che l’essere umano sperimenta fin dai primi giorni di vita e di cui la memoria mantiene le tracce non solo psichiche ma anche neurobiologiche.
Così accade a volte che, anche crescendo, si ricorra a questo vecchio ma ben conosciuto meccanismo di piacere per placare ansie e insoddisfazioni di tutt’altra origine.
L’obiettivo diventa in quei casi riconoscere il vero Bisogno e tentare di dare a quello una vera Risposta.
Nei bambini, così come negli adulti, la richiesta di cibo non è dettata solo dalla FAME BIOLOGICA. Sono fattori altrettanto determinanti: la noia; la solitudine; l’esigenza di riempire un vuoto; il tentativo, somatizzato, di comunicare un disagio.
L’alimentazione infatti non è mai solo un fatto di mero apporto calorico. Entra sempre in gioco, come variabile determinante, la complessità dei rapporti. E questo FIN DAI PRIMI GIORNI DI VITA.
Il disagio creato dalla fame è una delle prime pulsioni e motivazioni del bambino a creare una relazione con l’adulto e stabilisce un modello secondo il quale in seguito possono venire organizzate tutte le relazioni.
D’altra parte per il genitore il tema dell’alimentazione evoca sempre ed inevitabilmente una certa ansia perché va a risvegliare le angosce relative al proprio accudimento primario.
ECCO PERCHE’ l’alimentazione del b. diventa un argomento di estremo interesse e complessità, tanto che oggi viene dagli esperti considerato un campo di messa alla prova importante per tutto il “sistema” familiare.

BAMBINI CHE MANGIANO TROPPO

La maggior parte dei bambini e degli adulti conduce una vita troppo poco attiva sul piano motorio. Si calcola che in questa società, l’apporto di energia con l’alimentazione sia divenuto superiore al necessario di circa il 30%
Gli studi dimostrano che l’abitudine a sovralimentarsi e i suoi presupposti si creano già nell’infanzia: un dato questo che risulta in aperto contrasto con la diffusa preoccupazione dei genitori che i propri figli non mangino abbastanza
Le abitudini di vita attuali hanno fatto sì che i rapporti quantitativi e qualitativi tra i vari pasti della giornata siano progressivamente mutati, a favore della cena e a svantaggio del pranzo e, soprattutto, della prima colazione. Quest’ultima è spesso trascurata e i pranzi sono diventati troppo frugali e squilibrati fra i vari nutrienti. Per compenso il più delle volte la cena risulta estremamente abbondante. Nel bambini, inoltre, si compie l’errore di disseminare l’arco della giornata di merende aggiuntive. Il tutto dà luogo a squilibri nutrizionali e metabolici, rendendo discontinue le prestazioni dell’organismo nelle varie fasi della giornata e portando in genere ad un eccessivo apporto calorico globale
Passare molte ore di fronte al televisore magari consumando nervosamente dolciumi vari sotto la tensione o l’attrazione del programma seguito, predispone ad un eccessivo aumento di peso.

BAMBINI CHE NON MANGIANO

Prevalentemente sono bambini che non mangiano quanto vorrebbero i genitori, ma a sufficienza rispetto ai loro fabbisogni energetici. Vi sono poi anche bambini che effettivamente in certi periodi riducono l’alimentazione e questo può accadere per vari motivi (malattie in corso, convalescenze, problematiche familiari, gelosie con i fratelli, scuola etc.). Si tratta in genere di fasi transitorie che non richiedono interventi farmacologici- medici- psicologici ma che in genere possono risolversi grazie al comportamento adeguato e amorevole dei genitori.
Accade, tuttavia, con una certa frequenza, che il genitore non riesca a rassicurare il figlio perché in crisi lui stesso. L’inappetenza del figlio o la supposta scarsa alimentazione conduce l’adulto al cuore delle proprie fragilità e delle proprie ansie. Conoscerle, riconoscerle e capirle sarebbe il primo necessario passo per non soccombervi.

Diventa allora chiaro come sia necessario, parlando di alimentazione parlare di relazione e, nello specifico, di come non si possa prescindere, parlando di alimentazione in età pediatrica, dal parlare del rapporto genitori –figli, individuandone compiti e funzioni.

I FIGLI

Il loro modo di rapportarsi al cibo dipende da numerose variabili. Volendo, in questo momento, escludere cause organiche e focalizzare l’attenzione su quelle psichiche, possiamo dire che la tavola diventa spesso un campo dove il figlio gioca una partita comunicativa molto importare. Attraverso il suo rifiuto del cibo o, al contrario, attraverso il suo attaccamento ad esso, il bambino comunica qualcosa di importante al genitore là dove il cibo diventa allora strumento per dire qualcosa di molto più rilevante.
E’ ormai meccanismo noto a tutti gli studi di settore che il bambino, non avendo la competenza per esprimere un disagio psichico attraverso le parole, sia inconsapevolmente e naturalmente incline ad usare il proprio corpo e il proprio comportamento come canale per comunicare. Processo questo conosciuto sotto il nome di “somatizzazione” e che non riguarda solo la trasformazione del disagio in sintomo fisico ma anche la comunicazione dello stesso attraverso comportamenti specifici che sono legati principalmente, in età pediatrica, ma anche oltre (ad esempio nell’adolescenza) al tema del cibo e del sonno.
Per la soluzione del problema vero diventa fondamentale che il genitore lo colga al di là della manifestazione usata dal figlio. Come a dire che fino a quando l’adulto resta fermo al sintomo in sé e non ne coglie il senso, non contribuisce nemmeno alla sua soluzione.
D’altra parte, chiedere ad un genitore di andare oltre il sintomo non significa chiedergli di lanciarsi in interpretazioni psicoanalitiche bensì di sintonizzarsi su quelli che sono i reali bisogni del figlio.
Il compito evolutivo dei figli, in questo caso, è proprio quello di imparare a dire, a definire, a dare un nome al proprio disagio senza dover ricorrere al rifiuto del cibo o ad un iperinvestimento su di esso.

I GENITORI

La funzione primaria di un genitore è quella dell’accudimento. Come si realizza tale funzione? Quale modo garantisce la formazione di un attaccamento sicuro piuttosto che insicuro e/o disordinato? Cosa significa “accudire” in senso lato? Come l’alimentazione è legata all’accudimento?
Spesso occorre sviscerare tali temi preliminarmente alla discussione sul cibo per poter cogliere quali sono le rappresentazioni mentali degli adulti relativamente ai contenuti fondamentali della loro relazione con i figli.
Molti genitori ritengono che accudire un figlio significhi principalmente proteggerlo in senso lato e si reputano, nella maggioranza dei casi, adeguatamente consapevoli di cosa questo voglia dire.
In realtà anche su questo c’è bisogno di far chiarezza.
Intanto la modalità protettiva espressa in termini di pericoli e proibizioni è diversa dalla modalità che si esprime in termini di proposte gradevoli e sicure. Uno degli ingredienti fondamentali nella costruzione di sicurezza in un bambino è la convinzione di potersi fidare di se stessi le intenzioni protettive del genitore, nel sottolineare tutti i pericoli presenti, finiscono per provocare un danno peggiore di quello che vorrebbero evitare: minano la possibilità che il bambino possa aver fiducia in se stesso e nelle proprie risorse al punto tale da indurlo ad aver timore di esplorare il mondo e crescere. Diventa assolutamente importante che il genitore alleni il proprio occhio a cogliere anche e soprattutto le opportunità e non solo i pericoli (anche con le espressioni linguistiche). Se un figlio che cresce avendo fiducia in se stesso riesce con più facilità a trasformarsi in un adulto meno fragile e quindi meno vulnerabile, allora proteggerlo significa anche e soprattutto nutrirlo di fiducia in se stesso. Sicuramente un bambino oggi non muore di fame ma può “deperire” per mancanza di stimoli positivi. Gli stimoli e le esperienze sono come il pane per la crescita e lo sviluppo.
All’atto pratico:

I RIMPROVERI

– L’abitudine a segnalare tutto quello che “non va”, non è per niente educativa, non stimola affatto al miglioramento personale ma contribuisce alla costruzione di un’autoimmagine tutta in negativo;
– I bambini , come tutte le persone, funzionano per valorizzazione e non per penalizzazione;
– Se c’è una cosa che i bambini adorano è far piacere ai genitori. Farebbero salti mortali per un complimento. E’ allora più strategico usare questa via (sostenere i comportamenti positivi) piuttosto che focalizzarsi su quelli negativi è un modo PER trasferire delle regole con una modalità più gradevole in modo da lasciare nel bambino un senso di benessere e di soddisfazione e non una generale sensazione di fallimento che toglie ogni stima;

I DIVIETI

– Non demonizzare né patologizzare le situazioni ma rassicurare e guidare attraverso regole chiare e comprensibili
– Circoscrivere il divieto nel tempo
– Chiarire a se stessi e anche al figlio che il problema è la paura del genitore non l’incapacità del bambino
– Stipulare dei patti sfruttando il grande senso del rito che hanno i bambini
– Troppi limiti e troppi divieti annullano ogni sensazione di potere
– 5 sì per ogni no se gli atteggiamenti negativi superano quelli positivi il rapporto è destinato a logorarsi. Essere positivi nonostante le regole fa sentire il bambino non assediato e lo rende più propenso a rispettare la disciplina come tutte le persone anche i bambini riescono a sopportare solo una certa dose di momenti negativi dopodichè sbottano facendo una di quelle 1000 cose fastidiose che sembrano fatte apposte per far impazzire il genitore, mentre in realtà spesso sono solo segnali innocenti con cui comunicano che si sentono sopraffatti senza capirne il motivo

LE REGOLE

– Applicare le regole non deve significare mettere in secondo piano le emozioni. Uno stile educativo inflessibile e concentrato soprattutto sul controllo è alla lunga sterile. Occorre unire all’applicazione della regola la sensibilità nei confronti dei bisogni emozionali dei bambini.

Accudire e proteggere diventano allora sinonimi di un processo relazionale molto complesso all’interno del quale il genitore, nella sua fondamentale funzione regolativa e di guida, consente l’evoluzione del figlio attraverso la sintonizzazione sui suoi reali bisogni e compiti evolutivi
L’educazione diventa quindi un’educazione orientata a favorire una sana evoluzione del figlio, ossia un’educazione evolutiva.
I neurobiologi hanno acquisito una conoscenza profonda di quel che accade nel cervello di un b. piccolo. Molte connessioni sinaptiche si sviluppano nella prima infanzia, secondo le esperienze che i b. vivono. I primi anni sono le fondamenta. Personalità, capacità di apprendere, capacità di socializzare, abilità linguistica: tutto inizia prestissimo e molto passa attraverso il senso relazionale del nutrimento.
L’alimentazione acquista per questo un senso specifico fondamentale e non è forse un caso che sia tra i temi più dibattuti ai nostri giorni.

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